Il lungo viaggio di Persefone tra Locri, Taranto e Berlino

Inizia con il curioso caso della Persefone in Trono la rubrica dedicata a quello che succede dietro alle opere d’arte. La statua in marmo capolavoro della scultura greca – datata intorno al 480 a.C. – fa ancora parlare di sé, accendendo i dibattiti di studiosi e appassionati sulla sua effettiva provenienza, Locri Epizefiri o Taranto? Intanto la dea irradia il suo sorriso laconico nell’Altes Museum di Berlino. A quanto pare per molto, molto tempo ancora.

Per tutti coloro che credono che l’arte antica sia ormai materia placida e bidimensionale, figlia di una storia lontana e noiosa, arriva il racconto di questa vicenda.

Un episodio singolare, ma purtroppo non insolito, di un giallo che accompagna segretamente tanti pezzi dell’arte antica e soprattutto magnogreca sparsi per il mondo. Una diaspora, quella dei reperti archeologici del Sud Italia, che stentiamo a seguire e ricostruire.                          
Chissà quali e quante meraviglie non solo hanno dimorato, ma hanno anche preso forma dalle mani di grandi artisti che vivevano tra le pendici e le sponde sulle quali ora noi stessi posiamo lo sguardo distrattamente, forse disegnando visi le cui fattezze portiamo nei nostri geni.

Dea 1 Persefone, marmo pario, V sec. a.C., Altes Museum, Berlino – Ph. Jean-Pierre D’Albéra CCBY2.0

LA STORIA E LA LEGGENDA

Sulla punta dell’iceberg delle storie emerse nel mare delle vendite clandestine, del disinteresse delle istituzioni, della scarsa lungimiranza e del disamore per la propria terra resiste questa regale e insieme dolcissima figura femminile. Un racconto rocambolesco, ancora in parte nella nebbia. La storia parte da Taranto, dove la statua fu rinvenuta durante scavi edili o invece parte da più lontano, nel cuore della Locride? Così credono il professor Vincenzo Casagrandi, gli scrittori Gaudio Incorpora e Pino Macrì e l’archeologo Paolo Orsi. Noi vogliamo includere questa parte nel nostro racconto, perché sembra credibile, perché Corrado Alvaro ci ha scritto su un bellissimo romanzo che è Mastrangelina e perché un’avventura come questa non può che iniziare con un viaggio segreto in mare. 

La statua di Persefone parla ormai tedesco, dopo più di cento anni sul suolo berlinese. Proprio l’imperatore l’ha strappata per un soffio nientemeno che al Louvre. Ma, nella pratica, come ci è arrivata?

Dea 2 Persefone, marmo pario, V sec. a.C., Altes Museum, Berlino – Ph. Jean-Pierre D’Albéra CCBY2.0

Passando per la Svizzera la statua è stata, infine, venduta al governo tedesco. Sulla didascalia in calce alla dea, esposta prima al Pergamon e poi all’Altes Museum, vi è l’iscrizione Ritrovata a Taranto o Locri e nel dubbio si chiude la questione, se non fosse che nel 2016, a dibattito ancora aperto, il museo berlinese ha pensato di inoltrare simbolicamente a Taranto una copia fedele dell’opere scansionata al laser. 

Due volte rapita, recita il titolo di un libro che si occupa della cosa e che propugna la provenienza calabrese, ma nel nostro racconto poco importa il campanilismo, tanto Taranto quanto Locri rappresentano due luoghi che la storia ha reso più che parenti.

LA RIFLESSIONE

Quanti la conoscono? Quanti l’hanno dimenticata? Quanti tesori, usciti dalla terra sulla quale camminiamo, sono ora nell’oblio? Sottostimiamo semplicemente la portata del valore di questo patrimonio? 

La breve incursione nella vita della statua della Persefone non parla di una contesa tra due città sulla paternità di un’opera, è invece l’esempio di una – purtroppo mai passata – moda nel Bel Paese quale primo al mondo per numero di furti d’arte. 

Dove la bellezza sparisce la mafia specula, come testimonia il noto pizzino di Matteo Messina Denaro secondo cui «Con il traffico di opere ci manteniamo la famiglia». Se la statua provenisse realmente da Locri l’episodio rivelerebbe che un contadino, dopo averla rinvenuta nella sua terra, abbia prima taciuto sul rinvenimento per poi venderla, forse con la connivenza di qualcuno più esperto di lui. Triste, eppure ancora oggi quello proveniente dal profondo sud è un traffico difficilissimo da sventare. Fortuna maggiore non hanno i reperti stipati nei magazzini, i tesori ancora seppelliti per mancanza di fondi, quelle scoperte che sono rimaste a metà, perché c’è sempre qualcosa di più urgente su cui investire. La scarsa attenzione al patrimonio incoraggia la poca considerazione di tutti, avvalorando il proposito meschino di chi agisce depauperando per denaro la cultura della quale potrebbero giovare umanamente ed economicamente le generazioni future.

Curioso quanto questo dare via le proprie fortune abbia qualcosa di tristemente simile a quello che succede anche con il capitale umano. Come tanti dei migliori talenti del sud anche lei, la dea gaia, è stata svenduta, un peso più che una ricchezza, una patata bollente da passare ad altri meno scaltri, meno pragmatici.               Solo il richiamo della notorietà che ha portato questa risorsa si riscopre l’orgoglio di volerne la paternità. Non sarebbe un’operazione più intelligente contribuire con un po’ di prospettiva al fiorire dei gioielli ‘in erba’, invece di rammaricarsi – in seguito – di averti perduti?