È il rapimento. Un istante raro è il rapimento; un coinvolgimento totale che ti rende incorporeo, un istante in cui passato, presente e futuro diventano un solo tempo e ti senti parte di qualcosa di infinito. Quello è il posto che puoi chiamare casa, un luogo dentro di te, che si proietta fuori di te; ovunque nel mondo.
Da dove veniamo? Chi siamo? Dove andiamo?
Quando si sceglie il proprio percorso universitario, ci si sente come se si dovesse decidere la persona che si vuole diventare da grandi.
A me in quel momento non era molto chiaro né chi fosse Alice, né chi volesse essere.
Ho scelto di studiare design non perché volessi diventare una designer appunto, ma perché in quel contesto avevo percepito qualcosa di me.
Alla fine credo che la soluzione non sia scegliere chi si vuole essere, quanto piuttosto riuscire a rimanere fedeli a chi già si è.
Le decisioni che prendiamo non devono essere basate sui concetti di giusto o sbagliato, che sono relativi: esiste soltanto una scelta a scapito dell’altra, e questa può semplicemente essere più o meno adatta a noi.
E allora chi sono? E come faccio a capirlo?
Cambia prospettiva: capire non è il mezzo per risolvere il problema, ma il risultato. Occorre in primo luogo ascoltare e ascoltarsi.
L’esercizio è: percepisci chi sei, senti le tue emozioni; allora inizierai a capirti sempre meglio.
Il mio rapimento
Ho letto che il tempo non è raffigurabile attraverso una linea retta.
Esso ruota a spirale attorno a un nucleo, che non è l’inizio del tempo, ma è l’origine del nostro rapimento. Il tempo scorre e forma un percorso ad anelli più o meno distanti dall’origine, in base a quanto le sono fedeli le decisioni che prendiamo.
Crescere significa assumere la consapevolezza sempre maggiore del proprio centro.
Nel corso degli anni mi è capitato di percepire questa ciclicità degli eventi: cose già lette, ascoltate, amate sono a volte tornate portando un senso di completezza, che mi ha fatto sentire ogni volta nel posto giusto al momento giusto.
Quelle sensazioni sono le briciole di pane che ho imparato a seguire per trovarmi.
Quello che ho capito oggi, è che fare design non è lo scopo della mia vita, ma lo strumento: lo strumento che mi permette di inseguire il mio innamoramento per le cose della vita.
Il design mi ha mostrato questa sua capacità di raccontare mondi, e nel riuscire a comunicare questi mondi ci offre la possibilità di sentire fra le mani anime, sogni, amori, disastri, speranze e rinascite. Tutto dentro un oggetto.
In altre parole, il design è rapimento. Un istante raro, un coinvolgimento totale che ti rende incorporeo, un istante in cui passato, presente e futuro diventano un solo tempo e ti senti parte di qualcosa di infinito.
Quello è il posto in cui mi sento a casa, un luogo dentro di me, che si proietta fuori di me; ovunque nel mondo.