L’invito che la presidente del Collettivo Hortus mi ha rivolto, chiedendomi un contributo per la rubrica “Fare Voce”, l’ho colto con piacere. Lo scambio di informazioni, opinioni e punti di vista tra chi progetta e promuove eventi culturali è fondamentale per individuare particolari punti di forza e di debolezza che influenzano le attività. Per luoghi come Acri, ad esempio, è necessario puntare a creare un clima di fiducia e di apertura, isolando lo scoramento di alcuni che spesso risultano quelli più attivi.
Per scrivere qui i miei pensieri non ho faticato molto, semplicemente perché certe riflessioni le avevo già manifestate tempo fa, grazie ad una rubrica che, come Casa della Paesologia avevamo lanciato in Rete e raccolta poi in un libro. Tra le firme presenti anche l’ex ministro Fabrizio Barca, il regista Davide Ferrario, il Rettore dell’Università di Camerino Claudio Pettinari, Paolo Piacentini, presidente di Federtrek e tanti altri bei nomi del panorama culturale italiano. Il titolo di quella rubrica-laboratorio, editata dalla casa editrice AnimaMundi, è “Entroterra”. Contiene quindici differenti punti di vista sul tema delle aree interne. Il mio, incitava gli amministratori delle zone marginali ed interne del Paese ad essere più audaci con interventi attraverso cui avviare un processo partecipativo di costruzione, assieme ai tanti cittadini di buona volontà e alle organizzazioni intermedie che sono attive e già producono azioni di rigenerazione a base culturale. Li invitavo a provare a federare le migliori energie che insistono sui territori, aiutandoli e fornendo loro strumenti attraverso i quali creare nuove regole e nuove economie, vista la ricchezza della tradizione alimentare e la manifattura artigianale che stanno sempre più scomparendo. O la biodiversità agricola, da mettere a sistema e valorizzare. Insomma, cercavo di tracciare un percorso immaginario di un potenziale “rinascimento delle montagne”. Ma non basta immaginare. Checché se ne dica sul “ritorno alla terra” e sui “nuovi abitanti”, a me pare che la ricchezza continui a concentrarsi nei grossi centri metropolitani. Finché il Governo non comprende che è urgente porre rimedio ai disagi dei centri medio-piccoli attivando politiche attente con specifici programmi, le aree interne continueranno a soffrire di emigrazione e conseguente spopolamento. Inoltre, a certe latitudini, è ancora forte l’intreccio perverso fatto di bisogni e di ricatti, che continua a condizionare un possibile riscatto. Per sciogliere questo soffocante intreccio è necessario che chi vive nelle zone interne si impegni a spingere dal basso, vigilando con la forza delle proposte e delle idee con decisione. Intraprendere una nuova via significa innanzitutto diventare parte attiva del luogo, altrimenti si continuerà a produrre elementi sui quali altri poggeranno ancora le proprie campagne elettorali senza seguito alcuno. Il cambiamento avviene se è più forte il desiderio di passare dalla cultura della rassegnazione alla cultura della responsabilizzazione.
Per quanto mi riguarda, non è per nostalgia e ne per onorare le radici che ho deciso di passare più tempo in Calabria. È per me una nuova esperienza di vita, che mi sta dando la possibilità di guardare da vicino una regione che non conoscevo abbastanza. Come tanti, infatti, mi domando il perché la Calabria non riesca a spiccare il volo nonostante le immense ricchezze culturali, ambientali, storiche e paesaggistiche che si ritrova. Non sapendo trovare risposte, nel frattempo mi adopero. Non so dire se e quanto durerà questa mia esperienza qui, ma certamente sto cercando di forgiarla a modo mio, con la consapevolezza di essermi imbarcato in una nuova e stimolante creazione che male non può fare, né a me ne al territorio. Può sembrare cosa da poco, ma per me il festival “Siluna fest”, affacciatosi in queste terre dall’anno 2018 con un preciso carattere, e cioè volto a far risaltare quello che già c’è senza la necessità di inventare nulla oltre la straordinaria ricchezza del paesaggio, rappresenta una sfida contro l’abbrutimento e contro ogni forma di rassegnazione. È, a mio avviso, un atto politico. Questo mi basta per poter poggiare uno sguardo clemente su una terra devastata dall’indifferenza di molti. E mi piace condividere tutto ciò con chi, ogni anno, porta il proprio sapere ed il suo fare artistico nel festival. Tutti, nessuno escluso, a fine manifestazione rimangono legati alla potenza indicibile di montagne, di mari e di genti che la Calabria offre. Per poi ritornarci.
Darsi ai luoghi, standoci presenti spiritualmente, è l’unico modo per comprenderne la meraviglia, darsi animo e lasciare una traccia.
Il Siluna fest si situa nel cuore dell’altopiano della Sila, in Calabria, e accompagna la forza della natura, del paesaggio e della cultura con arte, poesia, musica e teatro. Parte integrante del Siluna fest, che ha avuto già 3 ricche e partecipate edizioni, è l’installazione di 58 Pini Laricio (simbolo della Sila) a 1200 metri di altitudine disposti a ricreare il segno del Terzo Paradiso di Michelangelo Pistoletto. L’opera composta da tre cerchi è diffusa in tutto il mondo come simbolo di cambiamento e rinascita e ha trovato forma e potenza anche nel cuore della Calabria silana. L’opera è stata realizzata per la seconda edizione del Siluna, festival ispirato dal poeta e paesologo Franco Arminio.